(in Foro italiano, 1999, I, 2192) di FRANCESCO DI CIOMMO

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 3 giugno 1999, n. 5441; Pres. BUCCARELLI, Est. GIANNANTONIO, P.M. MELE (concl. parz. diff.); Ciarlegio (AVV. PAOLETTO, OCCHIPINTI) c. Pandolfo Alluminio s.r.l. (AVV. MESCOLI, CORRAO). Cassa Trib. Trento 12 giugno 1995.

Agenzia (contratto di) – Star del credere – Colpa o dolo dell’agente – Irrilevanza (Cod. civ., art. 1736)
Agenzia (contratto di) – Star del credere – Compenso all’agente – Disciplina (Cod. civ., art. 1736, 1746)

L’agente non può sottrarsi all’obbligo assunto con lo star del credere dimostrando di aver tenuto un comportamento diligente nello scegliere il cliente o di aver segnalato alla società preponente eventuali dubbi di insolvenza. (1)
Le parti di un rapporto di agenzia, quando prevedono lo star del credere, possono stabilire un particolare compenso o una maggiore provvigione per l’agente esplicitamente o anche implicitamente (attraverso il richiamo dell’art. 1736 ovvero dell’art. 1746 del codice civile).(2)

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(1-2) La Cassazione torna a pronunciarsi in materia di star del credere nel rapporto di agenzia, evidenziando come, su alcune questioni afferenti l’applicazione di detta clausola, manchi, anche in sede di legittimità, un orientamento giurisprudenziale dominante. Il primo problema al vaglio della Suprema Corte nella recente sentenza, riguarda la possibilità (negata nella fattispecie, massima 1), per l’agente di liberarsi dalla responsabilità dimostrando di essere stato diligente (nel caso di specie, questi aveva informato la società preponente delle difficili condizioni economiche in cui versava il terzo, ma era stato dalla stessa invitato per iscritto a concludere il contratto). In motivazione si legge che la responsabilità dell’agente tenuto allo star del credere deve essere considerata meramente oggettiva, per cui risulta irrilevante ed inutile qualsiasi accertamento circa la sua diligenza (così Cass. 4 febbraio 1993, n. 1359, Foro it., Rep. 1993, voce Agenzia, n. 25; parzialmente difforme 18 dicembre 1985, n. 6476, id., 1986, I, 939; contra G. GIORDANO, Il contratto di agenzia, Bari, 1959, 215).
La seconda, e più dibattuta questione, su cui si è pronunciata la corte nella sentenza in epigrafe, riguarda la sussistenza, in capo all’agente che sia tenuto allo star del credere, del diritto ad un compenso ulteriore o ad un aumento di provvigione, pur in mancanza di una previsione espressa in tal senso. La Cassazione, in proposito, ha ritenuto (massima 2) che le parti possono stabilire detto compenso anche implicitamente, richiamando come applicabile in via residuale l’art. 1736 c.c., ovvero anche l’art. 1746 c.c. (cfr. Cass. 14 giugno 1991, n. 6741, id., Rep. 1992, voce cit., n. 29, in extenso in Riv. dir. comm., 1992, II, 373, n. F. CHIOMENTI). Sul punto si ravvisa una giurisprudenza oscillante. I precedenti contrari all’odierna pronuncia ritengono che, essendo applicabile allo star del credere dell’agente la disciplina prevista in sede di contrattazione collettiva, vada esclusa, in tale ambito, l’operatività dell’art. 1736 c.c. (cfr., da ultimo, Cass. 19 luglio 1997, n. 6647, Foro it., Rep. 1997, voce cit., n. 19; 27 marzo 1996, n. 2749, id., 1996, I, 2057, e in Giust. civ., 1996, I, 2609, n. R. TRIOLA). Anche la dottrina, sul punto, manifesta orientamenti assai divergenti. Per ulteriori considerazioni, v. la nota di F. DI CIOMMO che segue.

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Commento di F. Di Ciommo

Il contratto di agenzia tra nuove regole e vecchie incertezze: lo «star del credere» ancora al vaglio della Cassazione

I. – Nuove regole e vecchie incertezze. Mentre – con il d.l. n. 65 del 15 febbraio 1999 (in G.U. 19 marzo 1999, n. 65), che integra il d.l. n. 303 del 10 settembre 1991 – il legislatore completa il recepimento della direttiva n. 86/653/Cee del Consiglio, datata 18 dicembre 1986, e in tal modo apporta sostanziali modifiche alla vigente disciplina in materia di contratto di agenzia, torna in Cassazione lo spinoso problema della disciplina applicabile allo star del credere dell’agente. L’annosa questione pare ancora lungi dal giungere ad una definitiva sistemazione, considerati i divergenti orientamenti che la giurisprudenza – anche di legittimità – e la dottrina hanno manifestato sul punto.
Alla luce delle problematiche nuovamente sollevate dalla sentenza in epigrafe – che si pone in contrasto con un corposo filone di precedenti –, pare giunto il momento di affidare alle Sezioni Unite il compito di sciogliere, una volta per tutte, i dubbi che in subiecta materia agitano l’operatore. E’, infatti, chiaro che su alcune delle questioni afferenti a detta clausola si sono oramai cristallizzate due divergenti posizioni. Tali questioni possono essere riassunte nel seguente interrogativo: quando nel rapporto di agenzia è pattuito lo star del credere, si può (ovvero deve) applicare, oltre alla disciplina di cui agli accordi collettivi, in via residuale quella codicistica dettata in tema di commissione? E dunque, in altre parole, si può (ovvero deve) riconoscere – anche al di là di una espressa previsione contrattuale –, all’agente su cui grava lo star del credere, il diritto ad un compenso aggiuntivo ovvero ad un aumento della provvigione? A questa domanda si è risposto affermativamente nella odierna pronuncia (massima 2) – sulla base di un iter argomentativo che, compiendo opportune distinzioni, fornisce indicazioni dalle quali non si può prescindere e sulle quali ci si intratterrà oltre – e negativamente in altre.
Le novità introdotte dal recente intervento legislativo, di cui si è riferito in apertura, pur riguardando a tutto campo il contratto di agenzia, non coinvolgono direttamente le considerazioni di seguito svolte, non incidendo sulla disciplina dello star del credere. Ciò malgrado, l’importanza dei principi fissati dal d. lgs. 65/99 suggerisce di fare brevemente il punto sul contenuto della novella.
Gli articoli modificati sono il 1742, il 1746, il 1748, il 1749 e il 1751 c.c. Per quanto riguarda l’art 1742, va sottolineato che la nuova formulazione del 1° comma, oltre a rendere irrinunciabile il diritto di ogni parte ad ottenere dall’altra un documento completo attestante le condizioni che regolano il rapporto, prescrive che il contratto sia provato per iscritto. Il 1° comma dell’art. 1746 viene integrato dall’espressa previsione: 1) dell’obbligo sussistente in capo all’agente di agire con lealtà e buona fede; 2) della nullità di ogni patto che limiti i doveri dell’agente previsti da tale norma. L’art. 1748 viene interamente sostituito e cambia persino nella rubrica, che diventa «Diritti dell’agente»; in esso la novità più rilevante riguarda la soppressione della regola per cui le provvigioni maturano con la regolare esecuzione del contratto promosso; la nuova norma, tra l’altro, prevede che, ove non sia diversamente pattuito, il diritto alla provvigione sorga «al più tardi inderogabilmente dal momento e nella misura in cui il terzo ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire la prestazione qualora il proponente avesse eseguito la prestazione a suo carico». Altro articolo interamente sostituito è il 1749, oggi rubricato «Obblighi del preponente»; in esso è riportato il contenuto che prima era dei commi 5, 6 e 7 dell’art. 1748, con una espressa previsione di inderogabilità assoluta. Di notevole importanza, infine, la modifica apportata al 1° comma dell’art. 1751 (a cui viene anche aggiunto un comma finale), con la quale viene corretto un errore in cui il nostro legislatore era incorso quando, nel 1991, aveva dato una parziale attuazione all’art. 17 della direttiva comunitaria citata, ponendo le due condizioni contenute nell’art. 1751 come alternative anziché complementari.

II. – Lo «star del credere» nel rapporto di agenzia. Lo star del credere (da «stare mallevadore del credito», v. A. LUMINOSO, Commissione (contratto di), voce dell’Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1988, vol. VII, 4) era in origine una clausola peculiare del rapporto di commissione, cui essa ineriva fin dal XVI secolo (v., in proposito, GOLDSCHMIT, Storia universale del diritto commerciale, Torino, 1913, 257), costituendo una forma di garanzia data dal commissionario al committente. Esso, già previsto dall’art. 389 del codice di commercio come ipotesi pattizia, fu disciplinato – sempre in tema di commissione – dal legislatore del 1942 nell’art. 1736 c.c. Sua funzione precipua è «quella di attribuire al commissionario, nei confronti del committente, una specifica responsabilità per l’esecuzione dell’affare più intensa e rigorosa di quella che gli incombe in base alle regole comuni ed alla quale corrispondono, da un lato, un’adeguata autonomia nella promozione e nella stipula delle compravendite, e, dall’altro, un congruo compenso per lo specifico rischio assunto» (Cass. 28 novembre 1981, n. 6352, Foro it., Rep. 1981, voce Commissione, n. 3).
Lo star del credere ha avuto così ampia utilizzazione nei rapporti di agenzia – pur in assenza di una espressa previsione codicistica – da sollecitare l’intervento della contrattazione collettiva. Ci si riferisce in particolare, per gli agenti di imprese commerciali, all’art. 6 dell’accordo corporativo 30 giugno 1938 (a cui si aggiungono gli accordi economici collettivi 5 ottobre 1968, 1° luglio 1971, 18 gennaio 1977, 24 giugno 1981 e 9 giugno 1988) nonché, anche per gli agenti di imprese a carattere industriale e cooperativo, all’art. 7 dell’accordo economico collettivo 20 giugno 1956, esteso erga omnes con d.p.r. 16 gennaio 1961 n. 145, e successive modifiche (sulla normativa che disciplina il rapporto di agenzia v. ex multis R. BALDI, Agenzia (contratto di), voce dell’Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1988, vol. I; e, per una panoramica più aggiornata, E. SARACINI – F. TOFFOLETTO, Il contratto di agenzia, II ed., Milano, 1996). Ai sensi di quanto disposto dagli accordi collettivi, lo star del credere nel rapporto di agenzia deve essere espressamente pattuito dalle parti (gli accordi economici collettivi 9 giugno 1988, art. 7, settore commercio, e 16 novembre 1988, art. 8, settore industria, hanno previsto come obbligatoria la forma scritta) e la responsabilità dell’agente non può superare il 20% (come prevede l’accordo 20 giugno 1956 valido erga omnes) della perdita subita dal proponente (misura ridotta al 15% dall’art. 7 del contratto collettivo 18 dicembre 1974 e dagli accordi di categoria: 16 novembre 1988, art. 8; 9 giugno 1988, art. 7; e 1° dicembre 1989, art. 7). Inoltre, sempre in forza di tali accordi, ove l’ammontare a carico dell’agente a titolo di star del credere superi, in un anno, la metà dell’ammontare delle provvigioni maturate nell’anno medesimo in suo favore, l’agente sarà tenuto nei limiti di detta metà. A ciò va aggiunto che, «mentre lo star del credere non è più dovuto – e, se trattenuto, deve essere rimborsato dal preponente – quando in qualsiasi modo questi abbia recuperato le somme perdute (art. 8 dell’accordo collettivo 19 dicembre 1979), la provvigione non è dovuta in ogni caso in cui l’affare non abbia avuto regolare esecuzione, salva l’ipotesi che, a seguito dell’inadempimento del cliente, il preponente abbia conseguito il risarcimento sia del danno emergente che del lucro cessante» (Cass. 5 febbraio 1993, n. 1434, id., Rep. 1993, voce Agenzia, n. 24).
E’ da rilevare che, negli accordi economici collettivi aventi efficacia erga omnes, lo star del credere è riferito all’ «inadempienza totale o parziale» del compratore, mentre nei successivi accordi economici collettivi di diritto comune il riferimento è fatto all’ «insolvenza totale o parziale». Secondo R. BALDI, Il contratto di agenzia – La concessione di vendita – Il franchising, V ed., Milano, 1992, 164, poiché «il concetto di insolvenza attiene esclusivamente alle procedure concorsuali e non pare ipotizzabile in senso tecnico un’insolvenza parziale, l’uso dell’espressione insolvenza corrisponde solo ad un’improprietà di linguaggio, ed in realtà è al concetto di inadempienza (o eventualmente di insolvibilità) che deve guardarsi» (così Cass. 10 marzo 1994, n. 2356, id., Rep. 1995, voce cit., n. 30, e per esteso in Resp. civ., 1994, 645, n. A. GIOVATI; contra G. TRIONI, Il contratto di agenzia, Padova, 1994, 127). Non rileva, dunque, che al mancato pagamento corrisponda una situazione di insolvenza: «il diritto da parte del preponente di conteggiare e addebitare lo star del credere all’agente sorge fin dal momento in cui il terzo non ha fatto fronte [anche soltanto parzialmente, v. Cass. 10 marzo 1994, n. 2356, cit.] al suo impegno di pagamento alla scadenza pattuita» (BALDI, op. ult. cit., 164). Si è precisato, altresì, che «qualora il mancato buon fine dell’affare non sia ascrivibile ad un inadempimento del cliente, ma ad altri fattori, esso non potrà essere ricondotto sotto la previsione dello star del credere» (così A. BALDASSARRI, Il rapporto di agenzia, Torino, 1995, 61; cfr. ID., Il contratto di agenzia, Milano, 1992).

III. – I limiti quantitativi della responsabilità dell’agente. La disciplina prospettata allontana, secondo parte della dottrina, lo star del credere appositamente previsto in tema di agenzia da quello proprio del rapporto di commissione, così impedendo – come meglio si vedrà in seguito – di applicare l’art. 1736 c.c. anche al primo.
La giurisprudenza ha ritenuto che, nell’ambito di un contratto di agenzia, in forza dei limiti inderogabili imposti dalla contrattazione collettiva, sia affetto da nullità parziale (ovvero nullità tout court, v. Cass. 5 marzo 1975, n. 816, Foro it., 1975, I, 1701, con nota di richiami di D. CALABRESE) il patto con cui l’agente si impegni a tenere indenne il preponente dalle perdite subite, per l’inadempimento del terzo contraente, in misura superiore a quella suddetta (20% ovvero 15%), qualunque sia il congegno negoziale utilizzato dalle parti ed anche quando la responsabilità per lo star del credere sia collegata alla generica violazione degli obblighi stabiliti per l’agente dall’art. 1746 c.c. (così Cass. 4 febbraio 1993, n. 1359, id., Rep. 1993, voce cit., n. 25; 8 aprile 1987, n. 3466, id., Rep. 1987, voce cit., n. 45, in extenso in Arch. civ., 1987, 993, n. G. ALIBRANDI, e in Riv. dir. comm., 1989, II, 84, n. F. CHIOMENTI; nonché 18 dicembre 1985, n. 6476, Foro it., 1986, I, 939). E «tale nullità, ove non abbia formato oggetto di specifica pronuncia nelle precedenti fasi del giudizio di merito, può essere rilevata anche d’ufficio in sede di legittimità sempre che non richieda nuovi accertamenti di fatto» (Cass. 8 aprile 1987, n. 3466, cit.). Dalla pronuncia di nullità consegue «l’obbligo per il mandante di restituire le somme indebitamente percepite in più rispetto alla misura massima consentita, ma anche l’obbligo dell’agente di restituire il surplus provvigionale percepito quale corrispettivo dello stesso star del credere integrale, ove non sia dimostrata una particolare attività che in altro modo giustifichi la percezione del compenso in misura maggiorata» (Pret. Prato 16 giugno 1988, id., Rep. 1989, voce cit., n. 31, in extenso in Toscana lav. giur., 1988, 1045).
La giurisprudenza ha altresì ritenuto che, «qualora in un rapporto di agenzia non soggetto alla disciplina degli accordi collettivi, compresi quelli aventi efficacia erga omnes, sia stato convenuto lo star del credere a carico dell’agente, a tale pattuizione si applica la disciplina dettata in tema di commissione» (Cass. 27 marzo 1996, n. 2749, Foro it., 1996, I, 2057, con nota di richiami, e Giust. civ., 1996, I, 2609, n. R. TRIOLA). Ci si riferisce, in particolare, a rapporti di agenzia svolti all’estero, ai quali – secondo la Suprema Corte – non è applicabile alcuna contrattazione collettiva, stante il carattere territoriale di quest’ultima (v. anche Cass. 9 ottobre 1990, n. 9936, Foro it., 1990, I, 3115, n. R. SIMONE).

IV. – Il carattere oggettivo dell’obbligo di garanzia assunto dall’agente. La fattispecie in ras¬segna riguarda un agente che, dopo aver informato la società preponente delle condizioni di sofferenza debitoria nelle quali versava il terzo con cui si accingeva a contrattare e dopo esser stato dalla stessa rassicurato e incitato a proseguire nella sua opera di promozione di affari, veniva richiesto dello star del credere, in quanto l’affare non era andato a buon fine e la società aveva subito un danno. L’agente conveniva in giudizio la preponente ed otteneva sentenza favorevole, fondata sull’assunto che l’agente aveva svolto il suo incarico con la diligenza do¬vuta e che, pertanto, non poteva essere tenuto allo star del credere. Tale decisione veniva riformata dal Tribunale di Trento che, in sede di appello, attestava la com¬pleta autonomia della quale gode, nello svolgimento della sua attività, l’agente che si sia accollato lo star del credere e riteneva non prudente il comportamento da questi manifestato nel caso concreto. Avverso la decisione del tribunale, l’agente propone ricorso sulla base di quattro motivi ed in particolare lamenta: 1) che il tribunale non abbia considerato che lo star del credere costituisce una clausola penale per l’inadempimento dell’obbligo d’informazione da parte dell’agente (mentre egli non solo aveva informato la preponente, ma questa gli aveva impo¬sto per iscritto di continuare i rapporti con quel cliente, cosicché, se si fosse ri¬fiutato, si sarebbe reso inadempiente ai sensi dell’art. 1746 c.c. e si sarebbe esposto al rischio di risarcire il danno contrattuale); 2) che il tribunale non si sia pronunciato sulla domanda, proposta in forma di appello incidentale, diretta ad ottenere il pagamento del compenso previsto dall’art. 1736 c.c.
Quanto alla prima doglianza, la pronuncia in rassegna conferma (massima 1) – in tal modo correggendo entrambe le decisioni di merito – quanto in sede di legittimità era già stato affermato, nel senso di ritenere che l’obbligo di garanzia assunto con lo star del credere, avendo mero carattere oggettivo, prescinde da qualsiasi accertamento circa la diligenza dell’agente, in quanto su quest’ultimo grava una presunzione assoluta di culpa in eligendo che trova causa nell’autonomia contrattuale di cui l’agente gode (v. anche Cass. 4 febbraio 1993, n. 1359, cit.). Sul punto pare parzialmente difforme Cass. 18 dicembre 1985, n. 6476, cit., nella quale si afferma che, attraverso lo star del credere, si tende «a rafforzare gli obblighi posti a carico dell’agente dall’art. 1746 ed in particolare quello di valutare con attenzione, informandone il preponente, ogni elemento che possa influire sul buon andamento degli affari promossi e costituisce una cautela dell’azienda contro l’eventuale leggerezza dell’agente». Tornando all’orientamento prevalente, fatto proprio dalla sentenza in epigrafe, si rileva come il principio affermato implichi che quando «l’agente risponde dello star del credere la società proponente non gli può imporre di curare o di concludere affari che reputa dannosi, se non esonerandolo dalla garanzia stessa».
La scelta attuata nel caso in rassegna dalla Suprema Corte pare del tutto condivisibile, in quanto, come accennato, lo star del credere si caratterizza proprio per il fatto di garantire il preponente al di là di quanto sarebbe in sede di risarcimento dei danni, contrattuali ovvero extracontrattuali (così Cass. 28 novembre 1981, n. 6352, cit.), esonerandolo dal provare la colpa o il dolo dell’agente; e si giustifica – specie nel rapporto di agenzia – in virtù dell’esigenza di stimolare chi ne sopporta il peso a frenare i propri impulsi (l’agente prende una provvigione percentuale sulle operazioni andate a buon fine, per cui è potenzialmente interessato a promuoverne il più possibile) e a vagliare con oculatezza l’opportunità, la convenienza e la sicurezza di ogni operazione commerciale. Sul punto non si ravvisano contrasti in dottrina (ma v. G. GIORDANO, Il contratto di agenzia, Bari, 1959, 215-216, il quale, riconoscendo natura di penale allo star del credere, ritiene che l’agente debba rispondere soltanto per sua inadempienza).
A tal proposito va segnalata la precisazione compiuta da BALDI (op. ult. cit., 166), secondo il quale lo star del credere non può essere imposto a carico dell’agente per i c.d. affari diretti, in quanto, in tali ipotesi, l’agente rimane estraneo alla proposizione e conclusione dell’affare. L’A. richiama in nota, come conforme, – insieme a Pret. Strambino 8 febbraio 1988, id., Rep. 1989, voce cit., n. 33, e in dottrina, a BALDASSARRI, I contratti di distribuzione – Agenzia – Mediazione – Concessione di vendita – Franchising, Padova, 1989, 38 – una sentenza del tribunale di Perugia, pubblicata, senza indicazione della data, in Rass. giur. umbra, 1971, 54. Tal’ultima pronuncia, pur suffragando la tesi prospettata, suscita confusione circa la nozione di «affare diretto», visto che in essa si nega al preponente il diritto allo star del credere qualora egli abbia «interferito» per l’assunzione dell’affare. Non si comprende, in altre parole, se vada considerato affare diretto quello in cui il preponente abbia anche soltanto interferito. Se così fosse, l’affare oggetto della pronuncia in rassegna sarebbe annoverabile tra quelli diretti e, dunque, la società preponente – secondo la teoria prospettata – non avrebbe diritto ad alcunché, visto che essa stessa ha, per iscritto, invitato l’agente a proseguire nella sua attività. Pare, tuttavia, preferibile considerare affare diretto solo quello concluso dal preponente senza che l’agente svolga la sua funzione tipica, compreso il caso in cui questi abbia svolto una determinata attività la cui incidenza nell’economia del rapporto sia rimasta soltanto residuale.
Va altresì segnalato che per giungere alla predetta conclusione, nella pronuncia in rassegna, si distingue l’istituto in oggetto dalla fideiussione e dalla penale. La Cassazione afferma che tra star del credere e, rispettivamente, fideiussione ovvero penale esiste una possibilità di assimilazione, ma non certo un’identità. Quanto alla prima, la corte rileva solo che la disciplina dei due istituti è «sotto molti aspetti diversa», senza indicare quali siano questi aspetti (contra E. SARACINI, Il contratto di agenzia, in Comm. cod. civ., diretto da P. Schlesinger, Milano, 1987, il quale ritiene lo star del credere una clausola fideiussoria; così anche A. FORMIGGINI, Il contratto di agenzia, Torino, 1958, 123, nota 11; e F.U. DI BLASI, Il libro delle obbligazioni, Parte generale, Milano, 1950, 324). In soccorso vengono precedenti nei quali si afferma che, «a differenza del fideiussore, che garantisce l’adempimento di un’obbligazione altrui, che è quella principale, il commissionario con l’assunzione dello star del credere risponde nei confronti del committente per l’esecuzione dell’affare ed in quanto garante del regolare adempimento dell’obbligazione contratta dal terzo con lui stesso, che a sua volta gli consentirà di adempiere verso il committente in base al rapporto interno, garantisce anche il fatto proprio per la parte in cui la propria attività giova ad assicurare la regolare esecuzione dell’affare stesso» (Cass. 3 giugno 1991, n. 6224, in Foro it., 1992, I, 440).
Quanto alla clausola penale, la corte rileva una piena corrispondenza funzionale con lo star del credere (entrambi gli istituti fissano i limiti per il risarcimento del danno eveniente dall’inadempimento di una determinata obbligazione), ma altresì precisa che si tratta di un’ipotesi del tutto particolare di clausola penale, in quanto questa riguarda l’inadempimento di colui che ha sottoscritto la clausola, mentre lo star del credere riguarda l’inadempimento di un terzo (così, ex multis, anche BALDI, op. ult. cit., 160). Tale posizione pare condivisibile, ove si rilevi come l’ipotesi di una penale, per inadempienza totale o parziale del compratore, fosse espressamente prevista già nell’accordo economico collettivo 25 maggio 1935, dove neppure si menzionava l’istituto dello star del credere, e che quest’ultimo, nella sua prima apparizione – accordo collettivo 30 giugno 1938 –, veniva configurato proprio come penale; definizione che, superata dall’accordo collettivo 20 giugno 1956 (avente efficacia erga omnes in forza del d.p.r. 16 gennaio 1956), è ritornata nei successivi contratti collettivi di diritto comune. La prevalente dottrina ha, infatti, sostenuto la omogeneità delle due figure (BALDI, op. ult. cit., 160; LANDOLFI, Brevi considerazioni sullo star del credere nel contratto di agenzia, nota a Cass., 3 marzo 1975, n. 815, in Dir. e giur., 1977, 425; GIORDANO, Il contratto di agenzia, cit.; G. GIORDANO – D. IANNELLI – G. SANTORO, Contratto di agenzia. Mediazione, Torino, 1993; R. FRANCESCHELLI, Star del credere e rapporto di agenzia, in Riv. dir. comm., 1966, I, 335; G. ALIBRANDI, Sulle limitazioni dello star del credere nel contratto di agenzia, nota a Cass., 28 luglio 1965, n. 1812, in Mon. trib., 1966, 717; contra G. GHEZZI, Del contratto di agenzia, in Comm. cod. civ., a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1970; POLLERI, Sulla natura giuridica della clausola dello star del credere nel contratto di commissione e di agenzia, in Temi genov., 1961, 73; SARACINI, Il contratto di agenzia, cit.; FORMIGGINI, Il contratto di agenzia, cit.) ed anche parte della giurisprudenza individua nello star del credere una vera e propria clausola penale (v. Cass. 18 febbraio 1985, n. 6476, cit.; e 14 settembre 1963, n. 2513, in Foro it., 1963, I, 2095).
Pare, inoltre, degna di nota – anche per la sua rilevanza concreta – l’osservazione di chi rileva che, al di là di ogni legittimo avvicinamento tra i due istituti, sussiste una profonda differenza tra penale e star del credere, ravvisabile nella circostanza per cui, mentre la clausola penale esonera dalla prova del danno, il danno che genera la responsabilità risarcitoria dell’agente non è presunto, ma deve essere dimostrato nella sua effettività (così SARACINI, op. cit., 258; e TRIONI, op. cit., 127). Va segnalato, infine, che vi è stato chi ha configurato lo star del credere quale contratto di assicurazione del credito – nel quale la cosa assicurata sarebbe costituita dalla bonitas del terzo contraente, il rischio sarebbe rappresentato dall’eventuale inadempimento del terzo e il premio consisterebbe nel supplemento di provvigione pattuito (così G. RUSSO, Del contratto di agenzia, in Comm. cod. civ., diretto da D’Amelio e Finzi, Obbligazioni, II, Firenze, 1947, 515) –, ovvero quale promessa del fatto altrui.

V. – Assunzione dello «star del credere» e diritto al compenso specifico. La questione più dibattuta in tema di star del credere nel rapporto di agenzia riguarda la possibilità di applicare, in via residuale – e, dunque, per quanto non disposto in sede di contrattazione collettiva –, la disciplina contenuta nell’art. 1736 e, in particolar modo, la previsione codicistica circa il necessario compenso da attribuire, anche sotto forma di aumento di provvigione, al commissionario gravato dello star del credere. La corte, nel caso di specie, nel tentativo di orientare il giudice del rinvio, conduce sul punto una riflessione che pare andare al di là dello strettamente necessario, in quanto, in definitiva, la sentenza impugnata viene cassata per omessa pronuncia. Con la pronuncia in epigrafe, la Cassazione assume una posizione contrastante rispetto a quanto sostenuto da una parte della stessa giurisprudenza di legittimità, la quale rileva come – essendo stata prevista, per lo star del credere del rapporto di agenzia, una disciplina apposita in sede di contrattazione collettiva (nella quale nessun compenso è contemplato a favore dell’agente) ed essendo questa inconciliabile con quella stabilita dal codice in tema di commissione – non vada riconosciuto all’agente che deve rispondere per star del credere, se non pattiziamente stabilito, il diritto ad un compenso ad hoc.
Per sostenere l’applicabilità dell’art. 1736 allo star del credere, si è fatto tradizionalmente riferimento all’art. 1746, il quale al 2° comma impone all’agente di osservare gli obblighi che incombono al commissionario, se non sono esclusi dalla natura del contratto di agenzia. Sulla base del dato normativo si è detto che – poiché lo star lo star del credere svolge, sia nel rapporto di commissione che in quello di agenzia, la funzione di garantire il mandante e di rendere più accorto il mandatario –, ove nulla disponga la contrattazione collettiva, siano applicabili, anche in tema di agenzia, i principi operanti nel rapporto di commissione. All’argomento testuale, fondato sull’art. 1746, si è obiettato che, in realtà, tale disposizione fa riferimento espresso ai soli obblighi, mentre il compenso che spetterebbe all’agente sarebbe – e non è dato pensare altrimenti – materia di diritti (così F. CHIOMENTI, La confusione della Cassazione sullo «star del credere» nel rapporto di agenzia: la derivazione dall’art. 1736 di un diritto dell’agente a una speciale provvigione per lo «star del credere», nota a Cass. 14 giugno 1991, n. 6741, in Riv. dir. comm., 1992, II, 373). L’obiezione non pare fondata, in quanto è stato correttamente rilevato che «sarebbe assurdo» che l’agente assumesse gli obblighi del commissionario per lo star del credere, senza fruire dei corrispettivi diritti (in tal senso FRANCESCHELLI, op. cit.).
Merita maggiore considerazione la tesi secondo la quale sarebbe la natura stessa dell’istituto dello star del credere a cambiare quando si passa dall’agenzia alla commissione. Tale tesi è stata sostenuta con diverse argomentazioni. Si è infatti rilevato che, mentre il commissionario è un mandatario senza rappresentanza (il cui ambito di attività è limitato dalla legge, art. 1731 c.c., alla compravendita), l’agente, che non è un mandatario, agisce sempre per conto altrui, mai per conto proprio né in nome proprio (v. BALDI, op. ult. cit., 163). Ciò inciderebbe sul modus operandi dello star del credere, ed infatti la contrattazione collettiva in materia di agenzia prevede limiti quantitativi all’esplicarsi della garanzia, così da non sottoporre l’agente ad una responsabilità, con relativo onere economico, troppo gravosa. Sulla scorta di tali considerazioni, sono state ritenute applicabili all’agente, se non escluse nel contratto di agenzia, norme quali l’art. 1710 c.c. sulla diligenza nell’esecuzione del mandato, ma non disposizioni ritenute precipue del contratto di commissione, tra le quali va annoverato – per detta dottrina – l’art. 1736 (FRANCESCHELLI, op. cit., 342; SARACINI, op. cit., 252; GHEZZI, op. cit., 119 nota 13; BALDI, op. ult. cit., 164).
Il principio accolto nella sentenza in rassegna (che pare condiviso da E. BORSELLI, Sul diritto dell’agente di commercio al compenso supplementare per lo star del credere, in Nuovo dir., 1971, 194; A. DE GREGORIO, Corso di diritto commerciale, Milano-Roma-Napoli-Città di Castello, 1969, 150; GIORDANO, cit., 211; F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, VII ed. agg., Napoli, 1998, 1111; TRIONI, op. cit., 126) – l’agente tenuto allo star del credere ha diritto, in relazione al rischio assunto, ad un compenso, anche quando le parti non lo abbiano previsto espressamente, qualora nel contratto che regola i loro rapporti abbiano richiamato, come applicabile in via residuale, direttamente l’art. 1736, ovvero anche il solo art. 1746 – trova suoi precedenti in Cass. 8 ottobre 1970, n. 1884, Foro it., 1971, I, 668 e 14 giugno 1991, n. 6741, id., Rep. 1992, voce cit., n. 29, in extenso in Riv. dir. comm., 1992, II, 369 (contra Cass. 19 luglio 1997, n. 6647, Foro it., Rep. 1997, voce cit., n. 19; 27 marzo 1996, n. 2749, cit.; 27 novembre 1986, n. 7002, id., Rep. 1986, voce cit., n. 17; Pret. Matera, 25 gennaio 1988, id., Rep. 1989, voce cit., n. 30, in extenso in Giur. merito, 1989, 569).
Sulla sentenza n. 6741/91, testè citata, si sono abbattute le critiche mosse da una parte della dottrina, la quale ha rilevato che la possibilità di applicare l’art. 1736 nei confronti dell’agente, sulla base del mero richiamo dell’art. 1746, sussisterebbe solo qualora si fosse in presenza di un’analogia di situazioni tra star del credere operante nel rapporto di commissione e star del credere operante nel rapporto di agenzia (v. CHIOMENTI, op. ult. cit., 373). Tale analogia non esisterebbe in quanto, «fra lo star del credere del contratto di agenzia e lo star del credere previsto per il contratto di commissione dalla legge (art. 1736 c.c.), non vi sono, tranne il nome, elementi comuni» (il testo riportato tra virgolette ed i successivi sono tratti da CHIOMENTI, op. ult. cit.). Lo star operante nel rapporto di commissione sarebbe, infatti, «una garanzia che obbliga chi l’assume ad effettuare, ove richiesto, alla scadenza di un contratto la prestazione contrattuale non eseguita dal terzo contraente; l’altro […] è una decurtazione delle provvigioni commisurata ad affari che non abbiano avuto buon fine». Tuttavia, sempre per la stessa dottrina – la quale, sul punto, condivide quanto espresso sia da Cass., 14 giugno 1991, n. 6741, cit., sia dalla odierna pronuncia –, «la possibilità di patti di star del credere, disciplinati per espresso richiamo delle parti alla stregua dell’art. 1736, non è affatto da escludere, anche in un rapporto di agenzia», in quanto detto patto avrebbe uno scopo diverso dallo star del credere di cui agli accordi economici collettivi, e cioè quello di «garantire la specifica operazione che l’intermediario propone al committente o di garantire per il cliente che l’intermediario procura».
Pur condivisibile, nella parte in cui distingue le due figure di star del credere, la riflessione appena prospettata – secondo la quale, in altre parole, a meno che le parti non si siano riferite espressamente all’art. 1736, tale disposizione non può operare – non convince del tutto. Ciò in quanto, ammesse le indiscusse differenze esistenti tra le due situazioni, pare eccessivo concludere ritenendo che in comune esse abbiano esclusivamente riferimenti nominali. Sul punto, necessita approfondire la riflessione al fine di dimostrare come sussistano buoni motivi per riconoscere all’agente il diritto al compenso che l’articolo in questione attribuisce al commissionario.

VI. – Lo «star del credere» dell’agente e del commissionario: «ubi eadem legis ratio…». Come è stato rilevato (CHIOMENTI, op. ult. cit.), ritenere applicabile l’art. 1736 allo star del credere previsto in un contratto di agenzia, in forza soltanto di un richiamo pattizio dell’art. 1746, val quanto ammettere che sussista un’analogia di situazioni tra lo star dell’agente e quello del commissionario. In effetti, la Suprema Corte, nella sentenza 14 giugno 1991, n. 6741, più volte citata, giunse ad affermare che anche in via analogica – e dunque (pare) indipendentemente da qualsiasi richiamo pattizio (ma nella fattispecie un rinvio all’art. 1746, 2° comma c’era stato) – sia applicabile l’art. 1736 allo star del credere dell’agente (contra, tra le altre citate, Cass., 19 luglio 1997, n. 6647, cit.). In altre parole, ove anche le parti non abbiano richiamato nel contratto l’art. 1746, né tantomeno l’art. 1736, all’agente che sopporta il peso dello star del credere andrebbe riconosciuto un apposito compenso. Sul punto la sentenza in rassegna non prende manifestamente posizione; la corte, tuttavia, invitando il giudice a cui verrà rinviata la causa a verificare nel merito se le parti abbiano richiamato l’art. 1736, ovvero l’art. 1746, e, in mancanza, a pronunciarsi sulla possibilità di riconoscere per analogia il diritto dell’agente al compenso, pare promuovere tale soluzione.
Per ammettere la possibilità di applicare analogicamente al rapporto di agenzia quanto previsto in tema di star del credere in materia di commissione dal codice civile – il che, a fortiori, significa ammetterne l’applicazione anche in virtù del riferimento pattizio all’art. 1746 – occorre dimostrare, come anticipato, che sussiste – al contrario di quanto sostenuto da parte della dottrina –, al di là delle indiscutibili differenze già rilevate, un substrato comune, un’identità sostanziale tra lo star del credere dell’agente e quello del commissionario. Ciò in ossequio, e allo stesso tempo in virtù, dell’antico brocardo: ubi eadem legis ratio, ibi eadem legis dispositio.
Lo star del credere nel rapporto di agenzia si è evoluto nel corso degli anni, in forza della contrattazione collettiva, fino al punto di acquisire caratteristiche che certamente oggi lo distinguono dallo star del credere del rapporto di commissione. Nel primo, infatti, la responsabilità dell’agente è limitata ad una percentuale delle perdite subite dal preponente, mentre il commissionario può anche essere chiamato a rispondere dell’intera prestazione. Tale differenza, tuttavia, non dimostra (né dipende da) una diversità strutturale o funzionale tra i due istituti. Essa si giustifica esclusivamente sulla scorta di un’ulteriore riflessione. Il rapporto di commissione è, per definizione, incentrato su una o più compravendite che il commissionario si incarica di portare a termine, ma sempre nell’ambito di un affare unico. Lo stesso star del credere di cui all’art. 1736 riguarda esclusivamente il singolo affare (in tal senso anche CHIOMENTI, op. ult. cit.). Ciò comporta che il commissionario avrà modo di valutare, con pressoché assoluta precisione, la convenienza ed i rischi dell’operazione, le cui proporzioni economiche non sfuggiranno in nessun caso al suo controllo. Se anche fosse chiamato a rispondere per l’intero, non si troverebbe a dover risarcire al committente i danni a questo evenienti da più contratti aventi, semmai, soggetti e caratteristiche diverse (come è per l’agente), bensì esclusivamente a dover curare l’esecuzione di quel determinato affare, di cui egli presumibilmente conosce ogni particolare. Per l’agente la situazione è più complessa e ciò giustifica i limiti posti in sede di contrattazione collettiva.
L’agente non svolge la sua attività promozionale nell’ambito di un unico affare; anzi, normalmente egli realizza utili soltanto in quanto riesce, muovendosi su più fronti, a interloquire con un certo numero di potenziali contraenti. Ciò fa sì che, per quanto l’agente tenti diligentemente di controllare la situazione patrimoniale dei soggetti con cui viene in contatto e di verificarne la concreta volontà negoziale, difficilmente riesce a gestire ogni rapporto in modo da azzerare il rischio di inadempimento. Per giunta, un’attenta analisi della realtà sociale rivela come l’agente tanto più è apprezzato e remunerato dal preponente, quanta più vivacità commerciale dimostra. La contrattazione collettiva è, in tal senso, venuta in soccorso dell’agente, prevedendo comprensivi limiti alla sua responsabilità. Avendo, così, dimostrato che i motivi che hanno condotto ad un allontanamento delle due figure non creano (né poggiano su) una divergenza strutturale o funzionale tra queste – i due star del credere, infatti, garantiscono entrambi il buon andamento dell’affare, in mancanza del quale viene chiamato a rispondere chi lo ha promosso e/o concluso – non si vede come si possa giustificare un trattamento differenziato di committente e agente sul piano della remunerazione. In altre parole, non sembra corretto riconoscere (per legge) al commissionario un compenso per lo star del credere e negarlo all’agente, il quale versa in una situazione più scomoda – per quanto detto – rispetto a quello.
La conclusione esposta pare l’unica possibile, ove si comprenda a pieno la funzione del compenso. Per affermare che compenso ex art. 1736 e limiti di cui agli accordi collettivi possono operare solo alternativamente, bisognerebbe ammettere che il primo svolge la stessa funzione di questi ultimi, consistente nel limitare la responsabilità dell’agente per inadempimento del terzo; in altre parole, che la percezione di tale compenso consente al commissionario di avvertire meno il peso economico di un eventuale esborso personale dovuto a titolo di responsabilità per star del credere. Non v’è chi non veda, tuttavia, come la funzione del compenso, prevista dall’art. 1736, sia tutt’altra. Basta considerare in concreto la esiguità del compenso de quo, per comprendere come esso non sia in grado di svolgere la funzione suddetta. Il compenso previsto a vantaggio del commissionario – e, secondo chi scrive, di chiunque assuma lo star del credere (nello stesso senso, per ultimo, GAZZONI, Manuale di diritto privato, cit., 1111, secondo cui «le parti possono anche pattuire lo star del credere […] in tal caso all’agente, come al commissionario, spetta un supplemento di provvigione, pur se non espressamente pattuito.») – si giustifica in quanto quest’ultimo, accettando la clausola in oggetto, assume su di sé il rischio (o parte del rischio) imprenditoriale e tale assunzione merita un corrispettivo. Il compenso ex art. 1736 funge, dunque, da corrispettivo di tale rischio.
L’interpretazione proposta, oggi più che mai, non può essere disattesa, vista la crescente attenzione che – anche e soprattutto nei rapporti di lavoro – il legislatore dedica da diversi anni al giusto contemperamento degli interessi coinvolti. Un’elisione del diritto (rinunziabile) dell’agente al compenso de quo potrebbe, perciò, riconoscersi solo in presenza di una espressa deroga normativa (così Cass. 8 ottobre 1970, n. 1884, cit.). Questa non può ravvisarsi nella mera mancanza di una previsione relativa a detto compenso nella regolamentazione collettiva del rapporto di agenzia, né nel silenzio del codice, nel quale – per giunta – la mancata previsione non è limitata al compenso, ma all’intero star del credere e non può quindi essere interpretata come volontà di escludere il primo, così come nessuno dubita che essa non implichi affatto il divieto per l’agente di pattuire la clausola in esame (così R. TRIOLA, Osservazioni in tema di star del credere e contratto di agenzia, in Giust. civ., 1996, I, 2609).
In definitiva, il compenso – che spetta per legge al commissionario, ovvero all’agente, che abbiano assunto lo star del credere – poco o punto ha in comune con i limiti che la contrattazione collettiva prevede alla responsabilità di quest’ultimo. Solo confondendo i piani della responsabilità e della remunerazione – i quali, pur essendo funzionalmente collegati, devono rimanere due cose distinte – si può giungere ad una diversa conclusione, e cioè a ritenere incompatibili disciplina del compenso (art. 1736) e limiti alla responsabilità (contrattazione collettiva). Alla luce di tali considerazioni, non pare corretto ritenere – come, invece, ancora recentemente ha fatto la stessa Cassazione con la sentenza 19 luglio 1997, n. 6647, cit. – che «nel rapporto di agenzia non può farsi applicazione dell’art. 1736 c.c., […] trovando applicazione la compiuta disciplina contrattuale efficace erga omnes».

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